Clericalismo e Laicismo: Una chiesa in perenne sinodalità

Il laicato non è il surrogato della gerarchia, né questa può chiedere soccorso ad essa in alcuni momenti della storia e della vita concreta, salvo poi a dimenticarsene. “I laici sono parte del Santo Popolo fedele di Dio e pertanto sono i protagonisti della Chiesa e del mondo; noi [sacerdoti] siamo chiamati a servirli, non a servirci di loro” (Lettera al card. Ouellet di Papa Francesco). Esiste una teologia del laicato ben definita e sacramentale (cfr. LG, cap. IV). Il laicato, vivendo nel tempo, intercetta più facilmente i cambiamenti e quindi i bisogni dell’uomo. Tra gerarchia e laicato ci dovrebbe essere un’intesa osmotica. L’intento non è di occupare spazi ma di aprire processi di corresponsabilità per arrivare, la Chiesa tutta, a essere “ospedale da campo”: «Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso». (Intervista a padre Antonio Spadaro). Eppure si ha quasi paura del laicato e si fa quadrato attorno alla gerarchia. I ruoli che potrebbero portare avanti con competenza i laici non vengono loro affidati perché tutto deve rimanere a gestione gerarchizzata, salvo, poi, a non vedere affrontati, da quest’ultima, i problemi o per incompetenza o per un accumulo di ruoli. Spesso la richiesta del laicato di suddividere i compiti e assumere delle responsabilità viene vista come intromissione e non come servizio: è urgente una promozione del laicato per una collaborazione con la gerarchia. C’è ormai una maturità nel laicato sia spirituale e di servizio che sovrasta, a volte, quello della scala gerarchica: è il segno tangibile che lo Spirito Santo opera con forza nella loro vita in modo irruento al di là dei ruoli assegnati. Con il giorno della Pentecoste gli Apostoli non aspettarono a organizzarsi per annunziare la Parola e battezzare ma si misero all’opera come lo stesso Spirito dettava loro e, pieni della Grazia divina, fecero conoscere quel messaggio che proveniva dal Padre tramite Gesù Cristo. Oggi si è molto “politicizzati” e “burocratizzati”, si dice che ci vuole una pastorale adeguata (ancora una forma di clericalizzazione e di poca fiducia nella formazione laicale) e in attesa dell’organizzazione ci si allontana perdendo forze efficaci nella chiesa.

«Il popolo è soggetto. E la Chiesa è il popolo di Dio in cammino nella storia, con gioie e dolori. Sentire cum Ecclesia dunque per me è essere in questo popolo. E l’insieme dei fedeli è infallibile nel credere, e manifesta questa sua infallibilitas in credendo mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo che cammina… Quando il dialogo tra la gente e i vescovi e il Papa va su questa strada ed è leale, allora è assistito dallo Spirito Santo. Non è dunque un sentire riferito ai teologi… Non bisogna dunque neanche pensare che la comprensione del “sentire con la Chiesa” sia legata solamente al sentire con la sua parte gerarchica». E la Chiesa non va ridotta a «una piccola cappella che può contenere solo un gruppetto di persone selezionate. Non dobbiamo ridurre il seno della Chiesa universale a un nido protettore della nostra mediocrità» (ib.).

Tutto ciò che è della Chiesa e nella Chiesa appartiene a tutti in modo indistinto, a partire dai Sacramenti, dalla Grazia di Dio che viene distribuita equamente, dei beni che sono di proprietà di tutti e non, appena acquisiti, solo patrimonio del clero, mentre prima appartenevano ai laici e a questi erano chiesti spesso pietosamente. Se dai laici sono elargiti alla Chiesa, questa, nel bisogno dovrà metterli a disposizione di tutti e non ampliare il proprio patrimonio. È prassi che nella vendita di esso, a esempio, il laicato non viene nemmeno consultato, come se quello che è stato messo da parte “pietra su pietra” non fosse stato costruito col contributo e i sacrifici anche dei laici.

Mi piace parlare di una teologia comunionale, sinodale, di una visione Cristocentrica della vita, del mondo e della Chiesa, così come intende Sant’Agostino nel De pastoribus sul legame tra pastore e popolo. “A ognuno tocca il suo compito”, come si suol dire, il resto è strapotere: al voler strafare male subentra un “formalismo di autoreferenzialità”, si diventa spesso “mestieranti del sacro” e di ciò che ad esso è surrogato. C’è un’omologazione e prelazione delle risposte ai bisogni da parte della gerarchia, come se la carità e il servizio fossero soltanto una loro prerogativa. Le omelie risentono, nel linguaggio comunicativo, di un’accentuazione delle funzioni e dei servizi resi dalla gerarchia, dimenticandosi che in tutto il loro operato la presenza dei laici è notevole e, spesso, preponderante.

Gli Organismi di partecipazione, cosiddette “Consulte” sono di frequente convenzionali e non sostanziali. “Voglio consultazioni reali, non formali”, dice Papa Francesco (ib.).

La ripresa di un cammino comune per una rinnovata scoperta dell’appartenenza a Cristo ci riporti a mettere in prim’ordine il suo sacrificio che è per la salvezza di tutti gli uomini a qualunque popolo e nazione appartengano. Il suo Spirito guidi la Chiesa perché «Tutti siano una cosa sola: come tu, Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi siano in noi. Così il mondo crederà che tu mi hai mandato. Io ho dato loro la stessa gloria che tu avevi dato a me, perché anch’essi siano una cosa sola come noi: io unito a loro e tu unito a me» (Gv 17, 21-23).

Erice lì, 04 giugno 2020