Lingua Siciliana: Affascinante e Contraddittoria

Di Nino Barone

Il siciliano, affascinante e contraddittorio. Un ricco patrimonio linguistico capace di sbalordire per la sua bellezza e incuriosire per le sue incoerenze. Esaminiamo qualche caso che appare molto significativo: mòviti (muoviti) esortazione a sbrigarsi, a non perder tempo. Nell’agrigentino mòviti assume il significato opposto. Chi lo pronuncia esorta a star fermi, a indugiare. Un caso simile riguarda il verbo abbirsari che vuol dire aggiustare, sistemare, riparare, mettere in ordine.
Nel siracusano la frase s’abbirsau la machina vuol dire invece che l’automobile si è guastata. Un fatto analogo succede anche nella zona della Sicilia occidentale quando si esclama un sintagma molto familiare: abbirasati semu, ma nel senso di essere messi male. È possibile che tutto sia affidato al tono con cui si esprimono le parole? Poi vi sono delle circostanze in cui ciò che si enuncia è frutto di una tradizione linguistica appresa e trasmessa nella sua indefinibilità. Perché mai, in Sicilia, un bambino coccolone debba essere scassatu e perché l’invito a stare zitti debba essere racchiuso nel termine musca?Cuacina: calcina, calce; come è noto in siciliano il gruppo “al” latino si traduce in “au”. Esempi: falso=fausu; gelso=ceusu; caldo=cauru, ecc.
Spesso però tale nesso, per via della metatesi, inverte il proprio suono, che da “au” si trasforma in “ua” come nel caso di cuacina (caucina nel ragusano). Fatto simile avviene nel termine causetti ossia calzette che in linea di massima, tranne in qualche area circoscritta, si evolve in cuasetti.
Ammazzamareddu o mazzamareddu: Termine che nella lingua siciliana indica un evento capace di devastare cose o persone. Può riferirsi, infatti, a tromba marina, vortice, mulinello, incubo, demonio e, in senso figurato, pure a individui poco raccomandabili. Affonda le sue radici nell’etimo spagnolo “matamoros” che vuol dire ammazza-mauri/ammazza-maureddu.
I Mauri erano gli abitanti della Mauritania, attuali marocchini. Il nome Mauro dal greco significa “uomo scuro”, dal latino maurus significò, invece, “abitante della Mauritania”. Il termine si presenta con diverse varianti: ammazzamaureddu, mazzamaureddu, mazzamaurieddu (con dittongo metafonetico) e mazzapaneddu. Quest’ultimo, utilizzato nel trapanese, sembra essere la variante corrotta che può, bensì, trovare l’esatta collocazione nel termine mazzapani o marzapani ossia tipico dolce di mandorle.Bardascia: Appellativo tipico della ragazza appena uscita dalla fanciullezza. L’arabo “bardag”, indica la giovane schiava straniera, fatta preda di guerra o di razzia. Con molta probabilità ci arriva direttamente dal francese “bardache” che si pronuncia “bardàsci” passando dallo spagnolo antico “bardaxa”. Entrambi si riferiscono a giovane che si prostituisce. Il termine nulla ha a che vedere col dispregiativo volgare bagascia. Nel dialetto di Sant’Oreste (paese vicino Roma Nord) si usa il termine bardascia proprio per indicare la giovane ragazza adolescente. Alcuni vocabolari nella voce “bardascia” riportano come significato “ragazzaccio/ragazzaccia”.
Il termine è in uso anche nella lingua napoletana. Ntrasatta: ossia “all’improvviso”, “quando meno te l’aspetti”; è un termine molto utilizzato nella Sicilia orientale, soprattutto nel catanese. Anche a Napoli vi è un uso comune di tale lemma che deriva dalla contrazione di tre parole latine: intra-res-acta, cioè “tra-cose-azioni o fatti” contratto in “intrasactum”. Da qui il siciliano e il napoletano ntrasatta. In riferimento a qualcosa che capita improvvisamente in mezzo alle tante cose che si svolgono. Il sanscrito sarkta vuol dire, guarda caso, “immediatamente”. Scantari, spagnari e appaganari: in poche parole “spaventarsi”. Il termine siciliano spagnari che vuol dire “spaventarsi” è tipico della Sicilia orientale mentre in quella centro-occidentale è più diffuso scantari. Assume lo stesso significato anche ad Alcamo, ma con una sostanziale differenza fonetica: appagnari (spaventarsi) utilizzato anche nelle Calabrie. Appagna, infatti, il cavallo quando ha paura. A Trapani, per esempio, appagnare sta per “impennare”. Dunque, spagnari e appagnari hanno la stessa derivazione etimologica? Le ricerche ci portano al gr. pachnòo che vuol dire “diventar duri, di gelo”. Il termine, adattatosi al lat. regionale pagnare [ad pagnare] ci riporta ancora verso appagnari. L’origine di spagnari, invece, è da ricercare nel cat. espanyar-se che vuol dire “irritare, irritarsi” a conferma di quanto l’area sud-orientale sia stata fortemente influenzata dagli spagnoli. Scantari in un primo momento, vista l’evoluzione del nesso italiano sch in sc (schiavo= scavu, maschera=màscara ecc.), si pensava derivasse da “schiantare” ma l’idea non convinceva affatto. Si è persino ipotizzato che scantari fosse il sinonimo dell’italiano “disincantare”, ma anche questa teoria non soddisfaceva molto. Enrico Caltagirone, studioso delle lingue indoeuropee, suggerì a quel punto un dato importante: la radice sanscrita “scand” vuol dire “aver paura”.
Da lì finalmente si è aperto un orizzonte immenso che ha consentito di chiarire i dubbi e di capire che, in un esame linguistico relativamente a un termine specifico, bisogna sempre andare alla radice e nel sanscrito vi sono delle verità nascoste in grado di poter decifrare molti termini siciliani dei quali l’etimo apparentemente sembrerebbe oscuro.

Bibliografia: Wikizziunariu; Wikipedia.org; Vocab. siciliano-italiano “Piccitto”; Enrico Caltagirone “La lingua dei siculi”

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