Mangiare in Sicilia, più semplicemente pistiari

Di Nino Barone

Il siciliano e il cibo costituiscono un tutt’uno indissolubile. Ogni azione, a partire dal risveglio mattutino, sembra essere legata fortemente al mangiare. In Sicilia il “mangiare” assume connotati diversi rispetto al resto del mondo, infatti si preferisce spesso il termine pistiari, con una sfumatura più volgare, in cui si intende “mangiare voracemente” ossia abbuffarsi. Il siciliano ancora prima di fare colazione proietta già il suo pensiero al pranzo. In questi frangenti è consuetudine chiedere alla consorte: chi si mancia stiornu?
La replica non si fa attendere ma non è risolutrice, a una domanda ne segue un’altra: tu chi voi manciari stiornu?
La pietanza che si consumerà sarà il frutto di un compromesso tra le parti, un contratto verbale che, in quanto tale, potrà essere soggetto a variazioni. Le eventuali variazioni favoriscono quasi sempre la consorte che domina la scena culinaria dove il “mangiare” rappresenta un vero e proprio rito sacro.
Togliete tutto a un siciliano tranne la stigghiola dello street food, il panino c”a mèusa, lo sfincione, l’arancina, le panelle, ‘u pani cunzatu, cibi per lo più di strada, che occupano i primi posti in classifica nelle preferenze sicule. Anche il consumo di pasta raggiunge quote elevate presso le famiglie siciliane, cucinata quasi sempre a pranzo mentre per la cena si predilige un bel secondo ricco di proteine ossia di sustanza oltre che l’immancabile cumpanaggiu in grado di completare, insieme al pane, il ciclo culinario giornaliero.Il “mangiare” si evidenzia persino nei soprannomi siciliani, diversi dei quali racchiudono in sé una curiosa patina ironica oltre a essere notizie in più sugli individui a cui sono rivolti: Arancina cu ‘i peri (dicesi di persona grassa), Tore panella, Saro stigghiola (dicesi di persona particolarmente magra), Peppe cicoria, Cola manciatariu (dicesi di persona ghiotta), Vanni cannolu, ecc.Ci sono anche dei cognomi che riconducono in modo eloquente al cibo, probabilmente derivati da nciurii (soprannomi): Gustapane, Cozzafava, Pappalardo, Gianformaggio, Mangiafico, Mangiaracina, Mangiapane, ecc.Il pensiero del “mangiare” è presente in quasi tutte le azioni del siculo che puntuale lo ripropone anche davanti a un neonato pacioccone. L’affermazione è ormai tipica: ch’è beddu, m”u manciassi!
Davanti a individuo particolarmente in carne il linguaggio assume una coloritura del tutto spontanea: minchia t”a futti ‘a spisa! Al contrario, davanti a persona particolarmente magra la frase utilizzata è persino carica d’affetto: manciatilla na fedda ‘i carni suverchiu! Insomma colesterolo, trigliceridi e obesità non sembrano problemi di cui preoccuparsi, in Sicilia per questo non è mai morto nessuno di pitittu si.
È imbarazzante per lo stesso siculo sedersi a un ristorante di quelli cosiddetti “fini” dove il “mangiare” è servito a pilìu ossia col contagocce.
I locali che il siciliano predilige sono quelli più “popolari” dove vi è l’usanza di passare dal tavolo a servire la stessa pietanza due o tre volte. Solo in queste circostanze la frase cca si manciau bonu è d’obbligo e mangiare “buono” per il siculo significa manciari assai. Se poi al mangiare ci mettiamo pure il futtiri le condizioni per una vita piena di soddisfazioni ci sono tutte. 


Mangiare in Sicilia, più semplicemente pistiari